Piove. Piove piove e piove, è da due giorni che non smette un minuto.
Meglio, perché sono di quell’umore vago e melanconico in cui tutto ciò che vuoi fare è raggomitolarti come un gatto sulla poltrona e guardare dalla finestra la pioggia che cade, magari con in mano una tisana calda col miele. E pensare.
Penso a Parigi, all’anno scorso, ai boulevards, alle brasseries, a Montmartre… e ancora alle passeggiate noi due lungo la Senna, alle bancarelle di libricini antichi vicino a Notre Dame, ai tavolini lungo le vie, dove tutti mangiano lentamente uno accanto all’altro come se fossero al cinema, con lo sguardo rivolto alla strada, godendosi lo spettacolo dei passanti intenti nelle loro promenades di mezzodì con latte e pane sotto braccio.
Mi vengono in mente i film di Woody Allen con quella musica smooth jazz di sottofondo, che appena la senti la ricolleghi subito a lui, o alla Ville Lumière, o a entrambi.
Sono queste le giornate in cui il pensiero di volerci vivere, a Parigi, si fa più forte e diventa quasi palpabile, mentre le immagini i profumi i ricordi prendono corpo e danzano intorno a me, nel silenzio della casa.
Penso che un giorno magari ci andrò davvero per rimanere, perché è una città che amo, perché è una lingua che amo, perché, per citare il succitato, "Parigi è bella anche sotto la pioggia", e forse, se possibile, lo è ancora di più.
E poi mi ci immagino bene, lì, anche sul lungo periodo, il che è piuttosto sorprendente perché io sul lungo periodo non mi immagino bene da nessuna parte. Quasi mi ci posso già vedere, addirittura: sulla trentina, in un appartamentino all'ultimo piano piccino ma spazioso perché con pochi mobili e solo un pianoforte centrale irradiato dal giallo di quella luce piena e calda che ho trovato a Parigi, a tradurre romanzi in francese, oppure a leggere e ascoltare musica mentre il cielo è grigio e piove, io e un gatto grigio come il cielo, un bel gatto con il pelo folto e soffice e grigio accucciato in grembo che mi tiene compagnia, e fuori dalla finestra: Parigi. Ma basta mi fermo, raggomitolo il filo del mio sogno e torno dopo questo viaggio spaziotemporale qui e ora, dove non ho ancora vent'anni e a sono una matricola di lingue, e dove non c'è nessun gatto e nessun pianoforte. Però a piovere, piove. Magari è un inizio...
Meglio, perché sono di quell’umore vago e melanconico in cui tutto ciò che vuoi fare è raggomitolarti come un gatto sulla poltrona e guardare dalla finestra la pioggia che cade, magari con in mano una tisana calda col miele. E pensare.
Penso a Parigi, all’anno scorso, ai boulevards, alle brasseries, a Montmartre… e ancora alle passeggiate noi due lungo la Senna, alle bancarelle di libricini antichi vicino a Notre Dame, ai tavolini lungo le vie, dove tutti mangiano lentamente uno accanto all’altro come se fossero al cinema, con lo sguardo rivolto alla strada, godendosi lo spettacolo dei passanti intenti nelle loro promenades di mezzodì con latte e pane sotto braccio.
Mi vengono in mente i film di Woody Allen con quella musica smooth jazz di sottofondo, che appena la senti la ricolleghi subito a lui, o alla Ville Lumière, o a entrambi.
Sono queste le giornate in cui il pensiero di volerci vivere, a Parigi, si fa più forte e diventa quasi palpabile, mentre le immagini i profumi i ricordi prendono corpo e danzano intorno a me, nel silenzio della casa.
Penso che un giorno magari ci andrò davvero per rimanere, perché è una città che amo, perché è una lingua che amo, perché, per citare il succitato, "Parigi è bella anche sotto la pioggia", e forse, se possibile, lo è ancora di più.
E poi mi ci immagino bene, lì, anche sul lungo periodo, il che è piuttosto sorprendente perché io sul lungo periodo non mi immagino bene da nessuna parte. Quasi mi ci posso già vedere, addirittura: sulla trentina, in un appartamentino all'ultimo piano piccino ma spazioso perché con pochi mobili e solo un pianoforte centrale irradiato dal giallo di quella luce piena e calda che ho trovato a Parigi, a tradurre romanzi in francese, oppure a leggere e ascoltare musica mentre il cielo è grigio e piove, io e un gatto grigio come il cielo, un bel gatto con il pelo folto e soffice e grigio accucciato in grembo che mi tiene compagnia, e fuori dalla finestra: Parigi. Ma basta mi fermo, raggomitolo il filo del mio sogno e torno dopo questo viaggio spaziotemporale qui e ora, dove non ho ancora vent'anni e a sono una matricola di lingue, e dove non c'è nessun gatto e nessun pianoforte. Però a piovere, piove. Magari è un inizio...
Io ho odiato la luce di Parigi, così lattea che fa male agli occhi.
RispondiEliminaMa ho odiato un sacco di cose di Parigi, per colpa della compagnia.
mi dispiace! :(
Eliminaquello che tu pensi di parigi, io lo immagino di londra <3 awwww
RispondiElimina:DDD
EliminaParigi è una di quelle città che non so, si fanno piccole piccole e si raggomitolano nel tuo cuore più o meno per sempre.
RispondiEliminaè così. è esattamente così.
Eliminachi dice di amare il francese come lingua (quello parlato ed ascoltato, su quello scritto posso anche soprassedere) andrebbe internato
RispondiEliminaandrei internata per tante altre cose ben peggiori
EliminaParigi fa quest'effetto. D'altro canto, però, quel grigiore io l'ho interpretato diversamente...diciamo pure che Parigi ti veste. Ti avvolge a suo modo e ti lascia addosso una parte di sé, pura o lurida, che in un modo o nell'altro ti porterai dietro.
RispondiEliminaQuell'odore misto tra cibo e antiquato. Svecchiato dai colori della moda.
(:
EliminaMa dove l'hai vista la luce, a parigi?
RispondiEliminaMa soprattutto, basta parlarne! Volevo tornarci e l'ex-coinquilina m'ha tirato il pacco, poi ci va l'Ideuccia, domani va il mio capo a farcisi il weekend... diavolo!
è una persecuzione!
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