Troppo
spesso nella società moderna sentiamo parlare di “scandali”: lo
scandalo del mondo dello spettacolo, lo scandalo del tal calciatore e
della tal velina, lo scandalo di questo o di quel politico. La verità
è che siamo quotidianamente bombardati dalle notizie dei mass media,
della tv, dei giornali; ad ogni agitazione il mondo mediatico è in
subbuglio, e quando gli scandali reali mancano i giornalisti non si
fanno problemi a inventarne altri di sana pianta secondo la regola
“The show must go on”: lo spettacolo deve continuare. E così da
questo girotondo di informazioni fioccano da ogni parte persone
sconosciute che nel giro di qualche settimana si trasformano in star
e personaggi famosi, riempono riviste e programmi televisivi, si
improvvisano periti di chissà quale disciplina, danno consigli di
alta moda o si pongono a modello da imitare rilasciando interviste
dettagliate sulla loro “semplice e sana” routine giornaliera. A
questo punto la domanda sorge spontanea: perché? Perché tutta
questa importanza per comparire sulla copertina di una rivista (sia
pure di serie z)? Perché questi sforzi per essere annoverati anche
solo per un giorno nella lista dei vip? Di certo la motivazione va
ricercata alla radice: nei valori della società, che sono comuni a
tutte queste “figure” e che sono posti alla base di ogni nostro
atteggiamento conscio o inconscio. Il primo quesito da porsi è
dunque un altro: che valori ci trasmette la società in cui viviamo?
Sicuramente è un habitat in cui fin da bambini si è abituati
all'idea dell'affermazione personale a tutti i costi, dell'egoismo e
del ricorrere all'uso di “mezzucci” che possano abbreviare la
strada tra noi e la nostra méta: siamo abituati a pretendere il
tutto e subito con il minor sacrificio possibile. In un sistema
morale ed etico del genere non ci si deve sorprendere che la massima
aspirazione di un sempre maggior numero di persone sia quella di
diventare ricca e famosa e passare il resto della vita in quella che
ingenuamente si crede sia un'esistenza comoda e felice, compiendo il
minimo sforzo per ottenere il “massimo risultato”. Al giorno
d'oggi ognuno di noi avverte una fortissima necessità di
affermazione che nasce proprio dalla messa in crisi
dell'individualità del singolo, che si trova a combattere con un
mondo di “giganti” in cui spesso la strada più facile non è la
più eticamente corretta. “Apparire”, dal verbo latino appareo,
significa mostrarsi e quindi parere
agli altri; questo a sua volta implica avere o cercare
spettatori che possano confermare all'individuo l'idea di se stesso:
laddove vengono a mancare le certezze interiori e personali si ha il
costante bisogno di una sicurezza esteriore, di una validità della
propria persona dettata non più dalla solidità dei propri valori
ma da quello che già il filosofo Locke chiamava con il nome di
“consenso sociale”. Ma l'approvazione (o disapprovazione) della
massa è alla fine così importante? Sicuramente il riscontro dalla
parte di popolazione che è spettatrice passiva è evidente: sono
moltissimi e soprattutto tra i giovani coloro che si appassionano
alle vicende di questi pseudo-famosi, al crescente numero di reality
show, agli scoop e ai pettegolezzi, al gossip. Forse che ci si
immedesima in ciò che si vede? Può essere lo strumento mediatico
potente a tal punto? Probabilmente sì, e a confermarlo è proprio
l'adesione di un numero così ingente di followers, agli
stuoli di fan che circondano le persone da tappeto rosso. La finzione
viene paradossalmente innalzata a realtà, le categorie dell'essere e
dell'apparire vengono sovvertite e scardinate: “Io sono perché me
lo garantiscono gli altri”, e da un concetto del genere al
consequenziale “quindi io sono ciò che di me gli altri pensano”
il passo è assai breve. Ecco che allora ci diamo tanta premura per
l'apparenza, curiamo la superficie e non nutriamo la forma che ne è
il fondamento, affidiamo i nostri valori a ciò che di noi comunica
agli altri una borsa o una maglietta. Come aveva criticamente messo
in evidenza un interessante film del 1998 (“The Truman Show”)
viviamo noi stessi dentro un enorme reality show in cui lo spazio per
la realtà, per la verità, per la libertà dell'essere noi stessi è
sempre minore e sempre più condizionato da una serie di fattori
esterni; l'essenza è così limitata dall'apparenza, l'io è
ingabbiato dal mondo e non può più rivendicare se stesso. Qual è
la conseguenza catastrofica ed estrema di tutto questo? Nessuno è
più davvero padrone di se stesso.
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