martedì 17 gennaio 2012

I limiti dell'essere e le finzioni dell'apparire

Troppo spesso nella società moderna sentiamo parlare di “scandali”: lo scandalo del mondo dello spettacolo, lo scandalo del tal calciatore e della tal velina, lo scandalo di questo o di quel politico. La verità è che siamo quotidianamente bombardati dalle notizie dei mass media, della tv, dei giornali; ad ogni agitazione il mondo mediatico è in subbuglio, e quando gli scandali reali mancano i giornalisti non si fanno problemi a inventarne altri di sana pianta secondo la regola “The show must go on”: lo spettacolo deve continuare. E così da questo girotondo di informazioni fioccano da ogni parte persone sconosciute che nel giro di qualche settimana si trasformano in star e personaggi famosi, riempono riviste e programmi televisivi, si improvvisano periti di chissà quale disciplina, danno consigli di alta moda o si pongono a modello da imitare rilasciando interviste dettagliate sulla loro “semplice e sana” routine giornaliera. A questo punto la domanda sorge spontanea: perché? Perché tutta questa importanza per comparire sulla copertina di una rivista (sia pure di serie z)? Perché questi sforzi per essere annoverati anche solo per un giorno nella lista dei vip? Di certo la motivazione va ricercata alla radice: nei valori della società, che sono comuni a tutte queste “figure” e che sono posti alla base di ogni nostro atteggiamento conscio o inconscio. Il primo quesito da porsi è dunque un altro: che valori ci trasmette la società in cui viviamo? Sicuramente è un habitat in cui fin da bambini si è abituati all'idea dell'affermazione personale a tutti i costi, dell'egoismo e del ricorrere all'uso di “mezzucci” che possano abbreviare la strada tra noi e la nostra méta: siamo abituati a pretendere il tutto e subito con il minor sacrificio possibile. In un sistema morale ed etico del genere non ci si deve sorprendere che la massima aspirazione di un sempre maggior numero di persone sia quella di diventare ricca e famosa e passare il resto della vita in quella che ingenuamente si crede sia un'esistenza comoda e felice, compiendo il minimo sforzo per ottenere il “massimo risultato”. Al giorno d'oggi ognuno di noi avverte una fortissima necessità di affermazione che nasce proprio dalla messa in crisi dell'individualità del singolo, che si trova a combattere con un mondo di “giganti” in cui spesso la strada più facile non è la più eticamente corretta. “Apparire”, dal verbo latino appareo, significa mostrarsi e quindi parere agli altri; questo a sua volta implica avere o cercare spettatori che possano confermare all'individuo l'idea di se stesso: laddove vengono a mancare le certezze interiori e personali si ha il costante bisogno di una sicurezza esteriore, di una validità della propria persona dettata non più dalla solidità dei propri valori ma da quello che già il filosofo Locke chiamava con il nome di “consenso sociale”. Ma l'approvazione (o disapprovazione) della massa è alla fine così importante? Sicuramente il riscontro dalla parte di popolazione che è spettatrice passiva è evidente: sono moltissimi e soprattutto tra i giovani coloro che si appassionano alle vicende di questi pseudo-famosi, al crescente numero di reality show, agli scoop e ai pettegolezzi, al gossip. Forse che ci si immedesima in ciò che si vede? Può essere lo strumento mediatico potente a tal punto? Probabilmente sì, e a confermarlo è proprio l'adesione di un numero così ingente di followers, agli stuoli di fan che circondano le persone da tappeto rosso. La finzione viene paradossalmente innalzata a realtà, le categorie dell'essere e dell'apparire vengono sovvertite e scardinate: “Io sono perché me lo garantiscono gli altri”, e da un concetto del genere al consequenziale “quindi io sono ciò che di me gli altri pensano” il passo è assai breve. Ecco che allora ci diamo tanta premura per l'apparenza, curiamo la superficie e non nutriamo la forma che ne è il fondamento, affidiamo i nostri valori a ciò che di noi comunica agli altri una borsa o una maglietta. Come aveva criticamente messo in evidenza un interessante film del 1998 (“The Truman Show”) viviamo noi stessi dentro un enorme reality show in cui lo spazio per la realtà, per la verità, per la libertà dell'essere noi stessi è sempre minore e sempre più condizionato da una serie di fattori esterni; l'essenza è così limitata dall'apparenza, l'io è ingabbiato dal mondo e non può più rivendicare se stesso. Qual è la conseguenza catastrofica ed estrema di tutto questo? Nessuno è più davvero padrone di se stesso.

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